Più di una corsa, più di una gara, più di un trail, più di un tracciato gps.
Un’avventura, un viaggio dentro se stessi e un viaggio in condivisione. Una costruzione di un’emozione, di un progetto, di un obiettivo.
Tutto questo è stato il Monterosa Est Himalayan Trail 23k. Una gara di corsa in montagna di circa 25-26 km per 1.600 metri di dislivello, che attraversa sentieri ripidi a cui tenersi con i cordini d’acciaio, pietraie, nevai, discese tra fango e sassi, e impietoso asfalto finale.
Il viaggio inizia molto prima del palco di gara della MEHT
Inizia quando un giorno, in ufficio, ti arriva un messaggio inaspettato dalla redazione di 4Running (magazine cartaceo ed online con contenuti e notizie di running e del settore podismo): hei Laura vuoi correre la MEHT?
Ok, e cosa sarebbe?
È una gara di trail, corsa in montagna, della distanza che vuoi, dai 15 ai 60km. Decidi tu.
È una corsa ai piedi della parete Est del Monterosa, tra sassi nevai fango e sentieri.
Ecco. Da quel momento in poi è tutto un susseguirsi di pensieri e avvenimenti. Nella mente prende forma un’idea, un progetto, un viaggio da fare, un’esperienza da raccontare e un’emozione da vivere.
Pensi, ok, questa volta i tempi limite in cui terminare la gara sono ampi, non c’è da tirarsi il collo come al solito. Ma non voglio correre da sola. Dopo anni ad aver amato e difeso la mia solitudine, il mio cammino e le mie direzioni, oggi c’è una persona che condivide i miei passi. In montagna e nella vita. E allora questa nuova avventura la voglio vivere in condivisione.
La preparazione
Mi sono sempre preparata alle gare seguendo tabelle precise, correndo tanto anche su asfalto e facendo fiato.
Questa volta no. Questa volta non potevo. Tre mesi fa il mio ginocchio ha ceduto. Di schianto, senza avvertire, un secondo e il menisco era rotto. Ho interrotto la preparazione, ho saltato due gare, la stagione sembrava finita e ho più volte avuto l’istinto di mollare, che tanto per me non c’era futuro. Mi sentivo sola, drammaticamente sola con le mie paure e i miei fantasmi.
Poi il destino, o chi per esso, ha cambiato le carte in tavola nel giro di poche ore, e ho incontrato chi ha deciso di ripartire con me, nonostante la mia lentezza e le mie difficoltà, inizialmente anche nel camminare. Ripartire voleva dire aspettare i miei tempi, il fiato che non c’era più, e i muscoli che facevano male dopo due mesi di fermo totale.
Ma mai più mi son sentita sola. E salita dopo salita, montagna dopo montagna, calpestando tutti i sentieri che sento amici, ho ritrovato il mio ritmo, sempre lento beninteso, ma conosciuto.
Ho ritrovato la voglia di provare, la gioia di correre in discesa senza sentire più dolore, e si è affacciata piano piano la voglia di indossare di nuovo un pettorale.
La gara
La mattina della gara arriva la solita ansia ad accompagnare i preparativi. Questo sicuramente non è cambiato! Ma la voglia di partire è immensa, Macugnaga si sveglia, e il Monte Rosa è splendido nelle prime ore del mattino, col sole che illumina la parete est, e illude i pensieri di chi si avvia al traguardo.
Si parte, i primi km sono di odiatissima corsa su asfalto, il ginocchio è dolorante ma il tutore svolge egregiamente il suo compito e posso continuare senza problemi, affrontare così le prime salite, ammirare un panorama che chiamare maestoso è riduttivo, e divertirmi come una matta a saltellare sulle pietraie come sto imparando a fare negli ultimi due mesi.
Dopo una dozzina di km invece tutto cambia. Il temporale inizia a farsi sentire, la pioggia scende a secchiate, si fa fatica perfino a pensare. Più si sale e più si sente il freddo, ma siamo talmente fradici che indossare la termica non servirebbe. Bisogna muoversi, arrivare al traguardo, non fermarsi. Continua Laura continua, un passo dopo l’altro.
Il tracciato è un po’ più lungo del previsto, e in uno stato di forma già precario è il colpo di grazia. La testa parte per un viaggio tutto suo, mi dice di mollare, che sto andando troppo lenta, ci stiamo congelando ed è colpa mia. Il fiato manca e le gambe sono rigide e doloranti. Rimarranno storiche le mie frasi intorno al 20esimo chilometro “Sono stanca” “Ti fa male qualcosa?” “Mi fa male tutto!!”
Quando vuoi mollare tutto,è lì che entra in gioco la condivisione delle emozioni.
Quella magia per cui la forza e l’equilibrio di un’altra persona riescono in silenzio a rimettere la mente al suo posto. Perché nella maggior parte delle emozioni, nella vita come nella corsa, le parole hanno un peso effimero, volatile, leggero, mentre ciò che conta è l’esserci, il sentire, il comunicare a livello mentale.
E con la mente lucida si può affrontare l’ultima, faticosa, parte di gara, ancora salita, ancora asfalto, ancora pioggia, ancora freddo.
Questa esperienza mi ha insegnato l’importanza di non isolarsi nei momenti di difficoltà, di cercare un appoggio, di accettare che in gara come nella vita ci sono dei momenti in cui da soli non possiamo farcela. E avere vicino una persona che ti aiuta in quel modo, e che non ti permette di arrenderti, è fondamentale.
Il traguardo
Ed è così che ho tagliato il traguardo, accettando che non sono una supereroina imbattibile, metabolizzando che ognuno di noi ha bisogno di aiuto nei momenti bui, ma imparando a gestire la fatica e le condizioni avverse, superando ancora una volta i miei limiti, centrando un altro obbiettivo, fidandomi dei passi accanto ai miei, con un’anticipo di un’ora e mezza sul tempo limite, con una ventina/trentina di persone dietro (e per un’ultima come me questa cosa ha dell’incredibile), ghiacciata, fradicia, emozionata, incredula ma soprattutto, felice.
Grazie a 4running Magazine
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